discorso sul vulcano. wp 138 – 17 aprile 2010 – 350

wordpress sabato 17 aprile 2010 – 8:24

20100415_volca

A queste piagge
Venga colui che d’esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All’amante natura. E la possanza
Qui con giusta misura
Anco estimar potrà dell’uman seme,
Cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti
Poco men lievi ancor subitamente
Annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
Son dell’umana gente
Le magnifiche sorti e progressive.

(…)
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest’orbe, promettendo in terra
A popoli che un’onda
Di mar commosso, un fiato
D’aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza.

Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto

“in questi luoghi venga chi ha l’abitudine di esaltare la condizione umana, e veda quanto la natura che ci vuole bene si occupa dell’umanità.
e potrà anche valutare così nella giusta misura la potenza del genere umano, che la natura, dura nutrice, quando meno egli teme di lei, può con un leggero movimento distruggere in parte, e con movimenti poco meno lievi distruggere del tutto improvvisamente.
su queste rive sono dipinte le sorti magnifiche e il progresso continuo dell’umanità. (…)
essere dal grande animo io non credo che sia, ma piuttosto un stupido, colui che, nato per morire, cresciuto fra le pene, dice che la felicità è lo scopo della sua vita e riempie le carte di un orgoglio puzzolente, promettendo in terra straordinari destini e felicità mai viste, che l’universo intero ignora – non solo questo pianeta – a popoli che un’onda di maremoto, una esalazione di gas, il crollo di equilibri sotterranei distrugge in un modo tale che a stento ne rimane il ricordo”.
Leopardi, La ginestra o il fiore del deserto

* * *

Il Medioevo prossimo venturo di Roberto Vacca è un libro pubblicato nel 1970 per la prima volta e ora ripubblicato dall’autore in una edizione on-line aggiornata e rivalutata nelle sue previsioni, scaricabile in parte a pagamento: medioevofree.pdf

roberto

se non ricordo male, nella profezia di Vacca il Medioevo in arrivo iniziava con una paralisi degli aeroporti determinata da un black out elettrico: poi l’interruzione del traffico aereo aveva degli effetti a catena sulla intera economia globalizzata.

era quarant’anni fa, la globalizzazione muoveva i suoi primi passi incerti e tutti si era lontanissimi dall’immaginare la potenza e il grado di sviluppo che avrebbe assunto: la rete di comunicazione mondiale (internet) che ci interconnette in un mostruoso cervello collettivo muoveva i suoi primissimi passi del tutto oscuri, e se qualcuno mi avesse detto allora che avrei avuto due figlie che avrebbero lavorato una in Australia e l’altra in Cina, mi sarei messo a ridere per la barzelletta; se qualcuno avesse detto che ogni sera posso andare, se voglio, in questa città tedesca, in un ristorante indiano a mangiare il pesce fresco proveniente dal Kerala, l’avrei considerata fantascienza.

quasi ogni sera, per la verità: stasera no, perché anche l’aeroporto della mia città è bloccato, e i ristoranti etnici useranno le scorte non più così fresche, fino a che potranno, e poi se le eruzioni di polvere continueranno, si fermeranno del tutto.

intanto in questo momento io sto respirando un pochino a fatica (spero che non sia autosuggestione) con un saporino disgustoso in bocca, come di polvere solforosa, che mi ricorda esattissimamente l’aria che si respirava a Milano negli anni Settanta.

stasera no, niente pesce fresco in Germania, perché un vulcano tutto sommato piccolo, a un paio di migliaia di chilometri da qui sta facendo degli sbuffi, sta riempiendo i nostri cieli di polveri, e ci sta andando ancora abbastanza bene che queste polveri non sono mescolate a gas tossici che potrebbero sterminarci, come è già successo in varie altre eruzioni passate della storia, a volta su scala locale, a volte su scala più grande.

* * *

l’originalità della riflessione di Vacca, una pensata semplice, ma che l’ha fatto passare alla storia, sta nella sua analisi (a badarci bene ancora leopardiana) sullo sviluppo dei sistemi complessi.

che non sono affatto un segno della potenza intellettuale umana, ma il tentativo della specie di un adattamento sempre più difficile al pianeta nella propria incontrollata ed autodistruttiva espansione.

vedere nella globalizzazione un segno di forza è solo una deformazione ottica soggettiva: la globalizzazione è invece debolezza e fragilità, e costruisce un sistema il cui più banale inceppamento è capace da solo di provocare danni mostruosi.

“la degradazione dei grandi sistemi” – il sottotitolo del libro di Vacca – è un risultato inevitabile della crescente complessità dei grandi sistemi stessi.

via via che diventa più complessa l’organizzazione della vita della specie, via via diventa statisticamente più inevitabile che prima o poi, per qualche incidente anche occasionale, il sistema si inceppi.

biologicamente le specie che sopravvivono sono quelle poco specializzate e flessibili, non quelle iperspecializzate.

le specie che si adattano ad un ambiente strettamente artificiale ed estremo sono quelle destinate a scomparire per prime alla minima alterazione di questo sistema.

* * *

scrivo queste cose non per essere annoverato anche io fra i critici ideologici della globalizzazione, alla quale ritengo non esistano alternative che non consistano nello sterminio dell’80% della specie umana e nel suo ritorno obbligato a condizioni di preistoria.

scrivo queste cose contro il senso di onnipotenza e l’arroganza, che sono sempre sentimenti negativi e pericolosi.

nessuno può del resto chiederci di farci un harakiri collettivo sulla base di analisi come queste, che potrebbero essere facilmente sbagliate.

scrivo queste cose perché le vergini sagge si preparano e quelle stolte non prevedono nulla.

però non chiedetemi a che cosa serva essere preparati.

è come chiedere a che cosa serva la consapevolezza.

assolutamente a niente.

e infatti i più non ce l’hanno.

non sarà la consapevolezza a fermare la moltiplicazione degli esseri umani sulla faccia della terra oltre i limiti di sostenibilità del pianeta.

ne saranno capaci soltanto le solite lacrime e sangue inconsapevoli, alla fine siamo pur sempre animali.

* * *

l’eruzione del Vesuvio fu una catastrofe terribile di dimensioni quasi planetarie e sottopose la civiltà del tempo ad uno stress ben maggiore di quello attuale proveniente dall’Islanda, che è un incidente assolutamente secondario dal punto di vista geologico, capace però già di determinare gravi danni; nei secoli successivi alla distruzione di Pompei altre catastrofi, come la caduta di un meteorite, determinarono un progressivo raffreddamento del clima che è probabilmente la spiegazione più naturale della mai del tutto compresa e precoce decadenza dell’l’impero romano..

quasi due millenni prima, verso il 1700 a. C., l’esplosione vulcanica dell’isola di Tera (Santorini) determinò in una notte la distruzione e la scomparsa della prima civiltà cretese, travolta dalle ceneri, dai gas dell’immane esplosione e dal conseguente tsunami.

qualche oscuro ricordo di catastrofi simili stanno nella storia biblica di Sodoma e Gomorra, travolte da simili piogge di fuoco, ma non esattamente identificate ancora nelle loro origini.

altrove fu il crollo del Bosforo verso il 7000 a. C. a determinare la sommersione della civiltà fiorita sulle rive del Mar Nero, allora varie decine di metri sotto il livello del mare, sotto un diluvio appunto biblico, dal più celebre testo umano che lo ricorda sia pure vagamente qualche migliaio di anni dopo.

grandi eruzioni vulcaniche determinano variazioni climatiche e fasi di raffreddamento planetario, come quella verificatasi all’inizio dell’Ottocento che venne a coincidere con la Restaurazione.

* * *

le piccole glaciazioni, le fasi di raffreddamento planetario coincidono spesso con i grandi movimenti oscurantisti della storia: sono i momenti nei quali un’umanità smarrita e calpestata nelle attese di felicità sostenute da una natura apparentemente benigna, deve ripiegare su se stessa e assistere con disperazione al crollo di tutte le sue speranze; cosa che si fa aggrappandosi alle tradizioni e alle fedi, con la speranza che servano ad uscire dai secoli bui, e comunque per bisogno di identità forte.

la prima metà del XXI secolo, il momento nel quale viviamo, è certamente una di queste fasi storiche: iniziata con la sorprendente riduzione dell’attività solare e con la sparizione non del tutto spiegata delle macchie solari, continua in una evidente intensificatione di fenomeni sismici sul pianeta terra e con eruzioni che secondo gli esperti potrebbero anche intensificarsi in Islanda e altrove; qualche scienziato (e non i propalatori delle profezie maya sul 2012!) ipotizza che si sia alla vigilia di una inversione dei poli magnetici del sole, un fenomeno a cui siamo del tutto impreparati, anche conoscitivamente.

insomma, il crollo completo delle civiltà è un fatto tutt’altro che raro nella storia umana, anzi sarebbe meglio dire assolutamente normale; nonostante le contrarie illusioni, nemmeno la civiltà globalizzata attuale potrà fare eccezione a questa legge storica; si tratta di vedere come e quando questa catastrofe sociale avverrà e quali saranno i suoi effetti, non di dubitare che prima o poi avverrà, e magari a partire da qualcosa di relativamente semplice come una nuvola di polvere prolungata per settimane sopra i cieli del vecchio cuore dell’impero attuale.

sì, lo so che siamo stati educati a pensare che questo è assolutamente impossibile, che la nostra civiltà è talmente potente da essere indistruttibile; ma Leopardi e Vacca ci dicono che si tratta soltanto di una pia illusione.

* * *

proprio ieri un’amica mi ha fatto rileggere via blog una pagina di Agostino di Ippona, una delle maggiori menti della storia umana, che visse nel periodo oscuro della catastrofe finale della civiltà romana, dove, in un mondo impazzito sotto un sole più gelido che non nutriva più gli uomini a sufficienza, i barbari avevano abbandonato le steppe aride e gelate dove sarebbero morti di fame, per rovesciarsi in un’ansia spasmodica di salvezza contro le città ancora sopravvissute alla crisi già in atto, per saccheggiarle e distruggerle.

Roma si sarebbe ridotta nel giro di qualche decennio da metropoli di oltre un milione di abitanti a borgo rurale annidato fra le rovine di sole 5.000 persone.

nella disperazione degli omicidi, dei saccheggi, della perdita non solo delle persone care, ma quasi di se stessi, Agostino scriveva, aggrappandosi con tutte le forze della sua mente potente ad una speranza sovrumana e impossibile nella realtà.

parlava di un uomo che muore, ma parlava anche della civiltà che moriva:
“Se mi ami non piangere.
Non piangere per la mia dipartita.
Ascolta questo messaggio.
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire ciò che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine, e in quella luce che tutto investe e penetra, non piangeresti.
Sono ormai assorbito dall’incanto di Dio, dalla sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e meschine al confronto.
Mi è rimasto l’affetto per te, una tenerezza che non hai mai conosciuto.
Ci siamo visti e amati nel tempo: ma tutto era allora fugace e limitato.
Ora vivo nella serena speranza e nella gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi.
Tu pensami così.
Nelle tue battaglie, orièntati a questa meravigliosa casa dove non esiste la morte e dove ci disseteremo insieme, nell’anelito più puro e più intenso, alla fonte inestinguibile della gioia e dell’amore.
Non piangere, se veramente mi ami.”

2 pensieri riguardo “discorso sul vulcano. wp 138 – 17 aprile 2010 – 350

  1. L’ha ripubblicato su cor-pus 15e ha commentato:
    Volevo scrivere un post per criticare il mito darwinista dell’evoluzione naturale come strumento del perfezionamento delle specie.
    l’evoluzione, invece, è l’adattamento di ciò che vive a condizioni che ne rendono sempre più difficile la sopravvivenza.
    e lo stesso possiamo pensare dell’evoluzione sociale della specie umana: tanto più complessi sono i sistemi sociali, tanto più difficile è garantire la sopravvivenza e tanto più fragili sono soluzioni adottate.
    volevo scriverlo, però mi sono accorto i averlo scritto già dieci anni fa.

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