il figlio dell’adultera (Il sacro divorzio cristiano, VIII). wp 120 – 7 aprile 2010 – 301

wordpress mercoledì 7 aprile 2010 – 20:53

certo, quando un paio di mesi fa iniziai questa ricerca sui testi della Bibbia cristiana riferiti al matrimonio, avevo il semplice scopo di evidenziare la loro origine storica complessa e l’attesa di trovarvi le tracce delle sovrapposizioni di diverse visioni etiche maturate in momenti e contesti differenti (come del resto anche per i testi sullo stesso argomento contenuti nella Bibbia ebraica).

mai avrei immaginato di arrivare al risultato esposto nel mio ultimo post sull’argomento, e cioè di scoprire:

1) che il Vangelo secondo Marco a proposito del matrimonio riporta fondendoli fra loro due passi chiaramente di due autori distinti, uno, il resoconto quasi irriconoscibile di un dibattito fra Jeshu e i farisei sul rispetto della legge mosaica, a partire dalle norme sul ripudio, e l’altro, un commento di tono piuttosto rabbinico alla Genesi, che è poi quello che contiene la teoria vera e propria della indissolubilità del matrimonio.

2) che questo resoconto monco sul ripudio va integrato con quanto il vangelo più antico (che io definisco “dei discepoli”) oggi incorporato nel Vangelo secondo Giovanni, riferisce del rifiuto di Jeshu di lapidare un’adultera (che è poi la conclusione dello stesso episodio).

3) che con ragionevole attendibilità questo episodio si svolge giusto alla fine del tentativo di Jeshu di farsi riconoscere re a Gerusalemme, e che la sua conclusione, e cioè la solitudine di Jeshu, che viene abbandonato anche dai suoi seguaci, è la premessa immediata dell’ultima cena e della sua successiva cattura.

siamo al mercoledì, dunque, dato che Jeshu fu catturato ed inchiodato alla croce il giovedì (e non il venerdì della tradizione), cioè alla vigilia del sabbath pasquale, cioè di una Pasqua che cadeva di venerdì, quella dell’anno 30.

* * *

ma le due settimane intercorse da quel post hanno fatto maturare in me anche un’altra intuizione o diciamo pure una illuminazione, che mi ha reso immediatamente chiaro perché questa disputa ebbe un valore così dirompente e segnò il tracollo del tentativo di Jeshu di farsi riconoscere “re unto” (perché questo significano tanto la parola ebraica mashiah, messia, tanto la parola greca christós).

non fu soltanto la dimostrazione pratica del fatto che Jeshu non rispettava la promessa di essere venuto a ripristinare la legge mosaica e a non mutarne neppure un dettaglio, come ho scritto nell’ultimo post, ma un fatto ben più drammatico e personale per lui, qualcosa che lo colpiva al cuore come individuo, in primo luogo.

infatti trascinare davanti a lui un’adultera e chiedergli che cosa bisognasse farne in base alla legge di Mosè, cioè chiedergli in ultima analisi di cominciare a lapidarla se voleva essere riconosciuto re degli ebrei, significava mettere Jeshu in una contraddizione insanabile, in quanto lui stesso era pubblicamente considerato figlio di un adulterio.

contro l’adultera Jeshu non poteva alzare la sua mano, perché sarebbe stato come iniziare a lapidare sua madre.

* * *

nella genealogia di Jeshu descritta dal Vangelo secondo Matteo (1, 1-17) Jeshu è ricondotto alla discendenza di Davide attraverso il figlio di questi, Salomone, di cui si sottolinea che era frutto dell’adulterio di Davide con la moglie di Uria, e però vi si afferma alla fine, in modo equivoco, che “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Jeshu, detto Re unto (Christós)” – si tratta probabilmente di un documento più antico della redazione del Vangelo, inserito così come era, senza troppa attenzione alle contraddizioni insanabili che si venivano a creare.

stranissima ed insensata combinazione quella della genealogia e del successivo racconto, infatti: se Giuseppe non è il vero padre di Jeshu, e sa di non esserlo, come risulta dal racconto successivo, che senso ha la genealogia inserita per dimostrare che Jeshu discende, via Giuseppe, da Davide?

ma occorre citare di più: (1, 18 – 19)

“Maria, sua madre, essendo promessa sposa a Giuseppe si ritrovò incinta (…), prima di essere venuti ad abitare insieme.
Giuseppe, suo sposo, che era uomo giusto, e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla segretamente”.

come non accorgersi che questa situazione è molto vicina al caso che i farisei propongono a Jeshu nella disputa al tempio di Gerusalemme?

“È permesso a un uomo ripudiare sua moglie?”

e quando Jeshu risponde, citando Mosè, che non soltanto può, ma deve di fronte alla scoperta di comportamenti immorali della moglie, offre su un piatto d’argento ai farisei la mossa successiva: l’introduzione dell’adultera.

perché adultera, e non soltanto immorale, era stata sua madre: da lapidare.

* * *

nella genealogia del Vangelo secondo Luca (3, 23 – 38) si dice invece:
“Jeshu era figlio, come si credeva, di Giuseppe”.

sembra che si voglia porre qualche rimedio diverso alla situazione e negare che Jeshu potesse essere considerato come figlio adulterino.

ma, se Giuseppe lasciò credere agli altri che Jeshu era suo figlio, come suggerisce il Vangelo secondo Luca, certamente però risultava chiaro lo stesso a tutti che la madre di Jeshu era rimasta incinta prima del matrimonio legale.

ma se perdipiù Giuseppe non era il padre neppure apparente, come invece suggerisce il Vangelo secondo Matteo, che ci presenta una versione un po’ più antica di quella “secondo Luca”, allora diventava chiaro che Maria si era macchiata di adulterio contro Giuseppe ancora prima di sposarlo.

* * *

questo dibattito non è una nostra riflessione razionalistica attuale: era molto acceso ancora 150 anni dopo la morte di Jeshu, quando riusciamo a ritrovarne tracce abbastanza precise.

Origene all’inizio del III secolo riporta quel che scriveva Celso verso il 180:
ORIGENE: CONTRO CELSO, I, 28 :
Poiché [Celso] immagina un ebreo discutere con Gesù e confutarLo, a suo avviso, su molti punti.
E in primo luogo lo accusa di aver inventato la sua nascita da una vergine e gli rinfaccia di essere nato in un certo villaggio dei Giudei, da una povera donna di campagna che campava filando e che fu cacciata di casa da suo marito, di professione falegname, perché era stata trovata colpevole di adulterio; che dopo essere stata cacciata dal marito ed essere andata vagando per un certo tempo, con disonore partorì Jeshu, un figlio illegittimo, il quale si recò a fare il servo in Egitto a causa della sua povertà, ed avendo lì acquisito alcuni dei poteri magici di cui gli Egiziani tanto si gloriano, tornò nel suo paese, esaltato per queste abilità e grazie ad esse si proclamò Dio.

qui Celso, non sappiamo se consapevolmente oppure no, sta ripercorrendo le stesse accuse con cui i farisei bloccano la pretesa di Jeshu di farsi riconoscere re nell’episodio che ho ricostruito nel mio ultimo post.

anche Tertulliano nel De spectaculis (30, 6) riferisce che gli ebrei definivano Jeshu “figlio di una prostituta”:
Ecco, dirò, quel figlio di un fabbro e di una prostituta, distruttore del sabato, eretico e indemoniato.

verso la fine del II secolo fu composta la parte del Talmud intitolata Misnah; ad essa risale la più antica testimonianza di parte ebraica su Jeshu, quella di Simeon ben Azzai:
“Ho trovato a Gerusalemme un libro di genealogie e vi era scritto che Taldeitali (“Peloni” in ebraico) è il figlio bastardo di una donna maritata”.

. . .

l’eco di queste antiche dispute si trova ancora nella Toledoth Yeshu, un testo medievale ebraico che, proprio all’inizio, riporta una specie di sintesi oramai fantasiosa delle versioni ebraiche della nascita di Jeshu:
Una grande sventura colpì Israele, quando dalla tribù di Giuda sorse un certo uomo malfamato di nome Giuseppe Pandera.
Viveva a Betlemme, in Giudea; vicino alla sua casa abitavano una vedova e la sua bella e casta figlia, chiamata Miriam; Miriam era promessa a Giovanni, della stirpe reale di David, un uomo istruito nella Legge e timorato di Dio.
Alla fine di un Sabbath, Giuseppe Pandera, bello e in apparenza simile a un guerriero, dopo avere guardato Miriam con desiderio, bussò alla sua porta e la ingannò, fingendo di essere il suo promesso sposo, Giovanni.
Anche così, ella fu stupita da questa cattiva condotta e si sottomise soltanto controvoglia.
Più tardi, quando venne da lei Giovanni, Miriam si lamentò del suo comportamento, così diverso da quello consueto; fu così che i due si resero conto del misfatto di Giuseppe Pandera e del terribile sbaglio da parte di Miriam.
In seguito a ciò, Giovanni andò dal maestro Shimeon ben Shetah e gli raccontò della tragica seduzione.
Poiché mancavano i testimoni necessari per la punizione e Miriam aveva concepito un figlio, Giovanni partì per Babilonia.
[secondo alcune tradizioni, “per l’Egitto” (AH)]

Miriam partorì un figlio maschio e lo chiamò Giosué, come suo fratello; questo nome più tardi fu deformato in Jeshu.

* * *

ma la testimonianza in assoluto più antica e anche più sconvolgente di questo problema che Jeshu doveva vivere lo troviamo nella più antica delle testimonianze su di lui che un suo seguace ci abbia lasciato, e che seguace!

parlo dei “Detti di Jeshu di suo fratello gemello Giuda”, come recita il titolo originario di quest’opera che è il più antico vangelo cristiano (se vogliamo definirlo vangelo).

qui si legge:
112. Chi conosce suo padre e sua madre verrà chiamato figlio di prostituta.

come poteva Jeshu rivendicare il trono di Davide, essendo figlio del peccato?

ed ecco la domanda dei farisei: se sua madre era un’adultera, che cosa pensava Jeshu della lapidazione delle adultere?

Jeshu risponde, per cavarsela in qualche modo: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”; i suoi seguaci ricordano che nella genealogia sacra della stirpe regale ebraica vi era un altro adulterio, anzi più d’uno.

ma, non scagliando, a sua volta, nessuna pietra, anche Jeshu ammette di non essere senza peccato, cioè di essere un comune uomo mortale.

* * *

a proposito di Giuseppe Pantera…

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“Tiberio Giulio Abdes Pantera di Sidone, anni 62, soldato con 40 anni di servizio nella prima coorte di arcieri giace sepolto qui.”

Bad Kreuznach, Germania, tomba di un soldato romano morto attorno al 30-40 d. C.

Abdes è la forma latinizzata dell’aramaico “ebed”, servo di dio, e dimostra che questo soldato era ebreo; inoltre proveniva da Sidone, non lontano dalla Galilea.

un’altra tomba ossario ebraica del I secolo d.C. con il nome Pentheros in greco e accanto quello del figlio, Josepos, fu scoperta nel 1891, sulla strada di Nablus, a nord della Città Vecchia di Gerusalemme.

ma con questo non intendo dire che che un ebreo, divenuto soldato romano, fosse davvero il padre naturale di Jeshu.

. . .

commenti:

afo 7 aprile 2010 alle 23:32
non ho letto tutti gli altri articoli legati a quest’ultimo quindi il mio commento può risultare fuori luogo…
Yeshu era figlio di Dio… noi siamo figli di Dio in quanto nostro creatore. E’ chiaro da ciò che Yeshu poteva benissimo essere un comune mortale. La Bibbia poi durante i secoli è stata scritta e riscritta… la verità che vi presenta può benissimo non essere quella “giusta”.
Che importanza ha se Yeshu era figlio di adultera per il nostro tempo(si spera che le menti siano più aperte). Era importante 2000 anni fa.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” per me è un paradosso. Nel momento in cui colui che è senza peccato scaglia una pietra non è più senza peccato (dipende cosa intendiamo per peccato) e quindi non avrebbe potuto scagliare la pietra.
Quindi nessuno avrebbe dovuto farlo ma Yeshu lo dice non per difendere le suo origini… per il semplice fatto che nessuno è migliore di qualcun’altro… sebbene spesso lo nascondiamo “dicendo di essere migliori”.
Pure noi potremo essere lapidati come chi si è macchiato di adulterio.
Cos’è il peccato? Oggi sappiamo che le verità assolute sono difficili da trovare. Ora… certe azioni possono risultare peccati da certi punti di viste mentre non lo sono da altri. Il fatto che Yeshu ammetta di non essere senza peccato non lo priva della sua “divinità”… ma poi cos’è il divino? Una semplice invenzione umana… di nuovo rappresenta solo uno dei tanti punti di vista possibili (vedi interpretazioni Dio nella storia… come scegliamo quello giusto?). Dove sta la “divinità” di Yeshu allora? Penso che siano i valori che dovrebbero unire gli uomini… quei valori che più o meno universalmente consideriamo “morali” che ci dovrebbero portare a vivere in armonia.
Questo è Yeshu per me… Un uomo che per i suoi valori è un Dio che si è sacrificato per non essere dimenticato, per lasciare il segno, salvando gli uomini mostrando loro l’armonia e bilanciando la violenza e crudeltà della storia passata. (era uno sfogo questo)
I mali che vengono dopo sono colpa dell’uomo… dei suoi istinti… della sua natura animalesca (vedi chiesa oggi).
Ecco perché rifiuto la Chiesa ma rispetto i valori di Yeshu (quelli che conosco :D).
Penso che la Bibbia non sia importante per le storie narrate… ma per gli insegnamenti moralmente utili che può trasmettere.
Ma poi… c’è sempre la scelta… si possono accettare o meno
🙂 (quello che la Chiesa non ha mai capito)
sono andato molto fuori tema…lo so :D… lo faccio sempre…
cmq… sarà per le ridotte conoscenze religiose che mi porto dietro
😛
ciau… appena posso leggo anche il resto degli articoli 🙂

bortocal 8 aprile 2010 alle 6:43
bel commento: sembra che questo post abbia toccato qualche punto vivo.
vado subito al dunque: “la “divinità” di Yeshu (..) penso che siano i valori che dovrebbero unire gli uomini… quei valori che più o meno universalmente consideriamo “morali” che ci dovrebbero portare a vivere in armonia”.
credo anche io, come te, che il fondamento della divinità di Jeshu affermata dai cristiani siano i valori morali da lui portati; in altre parole si afferma che Jeshu era Dio per poter dire che i suoi valori morali sono indiscutibili.
ci sono due obiezioni, entrambe radicali, a questo modo di vedere le cose.
1. la ricerca storica ci dimostra che i valori morali che storicamente portava la persona chiamata Jeshu sono diversi da quelli che gli vengono attribuiti.
in questo caso, ad esempio, Jeshu non rifiuta affatto per principio la lapidazione; il suo paradosso nasce dal fatto che la considera ancora morale e non immorale; Jeshu non grida agli uomini che lo circondano, come uno qualunque di noi farebbe se avesse voglia di rischiare la vita, “lapidare una donna? che orrore!”, ma dice: nessuno di noi è DEGNO di lapidarla.
Jeshu si trova a sua volta interno ad un sistema religioso che aveva assolutizzato delle leggi morali e dei comportamenti affermandone l’origine divina.
poiché quei comportamenti dopo di lui divennero totalmente inaccettabili, fu necessario creare una nuova religione che desse valore assoluto ad una morale nuova.
però i valori morali che il cristianesimo attribuì a Jeshu non erano altro che quelli elaborati dal pensiero filosofico greco-romano, solo imbastarditi e mescolati a quel tanto di superstizione che era necessaria per farli accettare, in virtù di credulità, conformismo e paura, anche alle menti semplici e non filosofiche degli schiavi, per esempio.
2. però ogni assolutizzazione dei valori morali che li riconduca ad un Dio, rendendoli immodificabili è negativa.
quanto dico oggi è evidente per la crisi della religione cattolica, la cui vera origine sta nel suo essere prigioniera della sua propria tradizione, che le rende impossibile una trasformazione dei valori morali resa necessaria dalla profonda trasformazione realizzatasi nel mondo post-moderno.
inoltre l’assolutizzazione dei valori morali è la premessa di forme di fanatismo.
infine l’assolutizzazione dei valori morali contrasta con la realtà umana, caratterizzata da culture differenti con valori morali differenti e incompatibili fra loro: basta pensare alla cultura islamica medioorientale, dove la lapidazione degli adulteri è prevista ancora.
quindi occorre una nuova visione della morale, una visione laica e RELATIVISTICA della morale.
appunto quel relativismo contro cui si scaglia Ratzinger continuamente e che è invece la sola possibilità di ritrovare dei valori morali nella società occidentale.
sì, siamo di fronte al bisogno vitale di una nuova religione, ma questa religione sarà così diversa da quelle del passato quanto diversa dal passato è diventata la vita umana.
questa religione è l’ateismo relativistico; sempre che non risulti alla fine più comodo aderire al buddismo, dato che è la religione storica che maggiormente si avvicina a questa idea della religione, essendo una religione assolutamente priva dell’idea di dio.
sì, il buddismo a volte sembra il miracolo già realizzato da una cultura durata un paio di millenni in più della nostra, di una religione senza dio.
certo che i monaci buddisti sono antipatici lo stesso! 🙂
ah, ancora un’aggiunta essenziale: il primo punto di una nuova morale e di una nuova religione è di non considerare affatto la nostra natura animalesca una colpa, ma una virtù.
in questo spesso penso che una nuova religione debba rappresentare per qualche aspetto un ritorno al paganesimo occidentale che aveva questa grande saggezza di considerare gli istinti una manifestazione del divino.

Un pensiero riguardo “il figlio dell’adultera (Il sacro divorzio cristiano, VIII). wp 120 – 7 aprile 2010 – 301

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