al cinema in Kerala. cor-pus 15 [Youtube 21] – 6-7 marzo 2010 – 171

My big father In the night of Aleppei, Kerala – My S-W India 1 21.

Evening and night from the Raiban Cine House to a cirkus – 15 December 2009

6 marzo 2010

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Sonntag, 07. Mär, 2010 – 11:09:35

l’ultimo breve video sul mio viaggio in Kerala di dicembre è diverso da tutti gli altri, tanto che l’ho un po’ impropriamente classificato nella categoria “Spettacoli”.

* * *

sono andato al cinema il 16 dicembre, nel tardo pomeriggio con Amrit, il ragazzo di vent’anni conosciuto la prima sera a Ernakulam, di ritorno da Cochin, ai giardini affacciati sul mare e sulle isole buie, attraversati dai traghetti sonanti.

con molta semplicità Amrit mi ha detto sin dal primo momento: I want to be Your friend.

Amrit è un immigrato dall’Assam, una sera siamo andati assieme in un internet cafè e ha voluto mostrarmi la sua città, che è la capitale di questo stato del nord-est, attraversata da un sonante Brahmaputra e priva, si direbbe, di qualunque attrattiva: anzi, nella ricerca su google tra le prime cose emergevano le foto di una orrenda strage seguita all’atetntato di non so più chi.

scendere dall’Assam, estremo N-E, al Kerala, estremo S-W, stato civilizzato e quasi europeo, è quasi come passare dall’Africa all’Europa, in India, a punti cardinali capovolti: dalla semibarbarie di un paese immerso in una giungla umida sotto l’Himalaya al benessere contenuto e quasi egualitario dell’antico Malabar delle spezie affacciato sull’Oceano in una estate senza fine; minore il cambiamento somatico, dato che Amrit è molto scuro, come i keralesi, e i tratti un po’ orientali della sua faccia, l’accenno di occhi a mandrola, il volto tendenzialmente tondeggiante, non spiccano particolarmente qui.

Amrit spicca come immigrato appena apre bocca: infatti non parla il malay, la lingua del paese, che stentamente, e parla malissimo l’inglese: come posso dire quindi che fra noi sia nata un’amicizia, fatta di conversazioni quasi senza parole?

è nata soltanto una confidenza: al viaggiatore sembra una fortuna che un ragazzo del posto gli si affianchi facendogli un poco da guida un poco da amico, e lo introduca meglio nelal realtà locale; ad Amrit il rapporto quotidiano con un viaggiatore esotico dà un orgoglio tutto speciale.

è stata la presenza di Amrit nella seconda parte del mio viaggio che mi ha portato a sospendere le mie cronache quotidiane sul blog: non avevo più tempo di pensare ai miei lontani ed ipotetici amici lettori; avevo una relazione concreta da gestire, ed era più interessante.

* * *

dopo il nostro primo incontro, Amrit, che di professione fa l’elettricista, la prima sera mi ha portato a vedere un film sulla vita di un impiegato del Kerala mobbizzato dai colleghi, che non mi è poi piaciuto molto, e poi abbiamo concordato di andare insieme il giorno successivo a Thrissur: quel viaggio incubo da cui sono tornato in serata, distrutto, perché i pochi hotel della città erano tutti pieni, e dove lui mi ha gagliadamente recuperato in mezzora la sacca col computer e il biglietto aereo del ritorno, che avevo dimenticato su un mototaxi, che è corso a ritrovare alla stazione.

poi è sparito per un paio di giorni, che io ho dedicato all’esplorazione delle isole attorno ad Ernakulam: l’antica Cochin e la solitaria Vypeen.

è ricomparso la sera che sono tornato da Vypeen, per litigare violentemente per la strada – non ho capito perché – con un suo amico di mezza età, e poi mi ha chiesto se andavamo assieme alla mia meta successiva, che era la città rurale di Aleppei, detta anche Alappouzhi.

* * *

infatti la mattina dopo siamo partiti in treno per andare a visitare uno dei templi più antichi del Kerala, come sempre chiuso ai non indù, e forse quello collocato nella scenografia più solenne, al centro di un ampio parco in forma di piccola collina; sul treno Amrit si è anche divertito parecchio con la mia macchina fotografica.

questo viaggio è stato sorprendentemente bello e rilassante: la città, ricavata in una specie di stretta striscia di terra fra due canali paralleli, rurale e serena, ma allo stesso tempo festosa, come già ha visto chi si fosse guardato il primo video che ci ho girato, era immersa in una specie di festival che riempiva la via principale di incredibili festoni luccicanti, e tutto vi era come attraversato da uno spirito festoso autentico, dato che il luogo non aveva nulla di turistico.

abbiamo girovagato per ore dopo esserci installati in un alberghetto non brutto, ma particolarmente economico, prospiciente una grande area dove si stava costruendo qualcosa che forse era un circo, forse soltanto un lunapark.

girare fra negozietti e mercati, fra templi, uno in stile Tamil Nadu, molto variopinto, uno invece tipico del Kerala, basso e come inscatolato, andare a guardare le tartarughe nella piccola pozzanghera artificiale di una moschea verdissima, non ha riempito tutto il nostro tempo ed Amrit mi ha proposto di ritornare al cinema.

e io ho accettato un po’ scettico, ma tutto sommato, volentieri, dato che mi facevano male le gambe.

* * *

quella che leggerete adesso è la recensione più inutile del mondo, perché il film che ho visto ad Aleppei con Amrit quel tardo pomeriggio non arriverá mai in Italia, non è neppure un film di Bollywood, la capitale del cinema indiano che sta a Mumbai e che gareggia con Hollywood.

è un film in lingua malay, cioè prodotto da quella piccola Bollywood locale che sta a Trivandrum, e – nonstante la Raiban Cine House traboccasse di giovani che se lo godevano moltissimo – ecco un grande piccolo capolavoro che resterà estraneo alla cultura europea, purtroppo.

My big father era il titolo del film e il manifesto che lo annunciava è anche quello che si vede ad apertura di video: guardandolo superficialmente io non ci ho trovato nulla di strano (mi piacerebbe mostrarvelo, ma – non essendo più un cliente Pro di questa piattaforma – ho di gran lunga superato lo spazio assegnatomi e non posso più aggiungere fotografie).

e invece! riguardatelo bene almeno nel video: e vi accorgerete, come è capitato a me all’aprirsi del film, con una grossa sorpresa, che il protagonista, il grande papà, è un attore che è un nano incredibilmente piccolo, credo non sia più alto di 70-80 cm, ma dal viso molto bello e dalla allegria contagiosa: un grande attore in un corpo incredibile.

l’inizio del film è degno di Chaplin e risulta straordinariamente commovente: il piccolo nano si trova ad essere l’unico responsabile di un neonato che è grande poco meno di lui e lo raccoglie, come fosse un trovatello (ma è invece il suo vero figlio), e deve ricorrere all’aiuto di qualche amico per riuscire a gestire la faticosa crescita di questo bambino, col quale per un poco riesce ancora a giocare, nei primi anni della sua infanzia, come fosse un suo coetaneo, ma che poi diventa più grande di lui, e spesso deve prenderselo in braccio, lui il figlio deve prendersi in braccio il padre, per sottrarlo da situazioni imbarazzanti.

mi è difficile descrivere le sensazioni sconcertanti che danno certe scene: come quella in cui il ragazzo viene premiato quasi alla fine degli studi nella sua scuola e porta sul palco in braccio il padre bambino; insomma questo rovesciamento dei ruoli fra un padre chiuso in un corpo seminfantile e un figlio più grande di lui credo che sia in grado di sommuovere ogni tipo di Edipo possibile.

però quello che a me ha colpito è l’estrema profonda umanità di questa situatzione narrativa, che non era affatto in un film spocchioso da cineforum, ma in un normale prodotto di grande consumo, in una specie di commedia all’indiana, che poi a volte degenerava anche in luoghi comuni piuttosto grossolani.

* * *

è stato questo film che mi ha fatto pensare all’Italia, alla sua persecuzione dei diversi, alla irrisione inevitabile che un protagonista susciterebbe nel grande pubblico da noi; e invece in quella sala anonima di una qualunque città indiana sentivo il cuore di quel pubblico di ragazzi che con naturalezza viveva e si identificava nelle avventure di un uomo dal corpo strano e quasi monco, e lo considerava in tutto e per tutto un eguale.

all’Italia ho pensato anche, con tristezza, quando in scena è entrata la mafia locale, e un intrigo ha condotto il futuro suocero del Big father a cercare di corrompere un medico con una generosa offerta di denaro per toglierlo di mezzo con un medicinale sbagliato.

la reazione morale di sdegno era ovvia, neppure da sottolineare con applausi, fra tutti i co-protagonisti non ve ne era nessuno che potesse mostrare l’ombra di una debolezza o di una tentazione verso la violazione delle regole di umanità e onestà che caratterizzano un corretto contesto sociale.

* * *

ad Amrit non ho detto nulla; sono uscito che avevo ancora le lacrime agli occhi per un prodotto, ripeto, tutto sommato dozzinale molto spesso, se non ci fosse stata questa grande trovata, di mettere come protagonista positivo il portatore di un handicap così grave.

la notte era calata, abbiamo attraversato la città multicolore di luci e brillii, ci siamo soffermati sul grande spiazzo arido a vedere gli operai che montavano mitologie multicolori per i giochi dei bambini dell’indomani.

la vita mi era molto meno pesante quella sera, grazie ad Amrit e al suo Big Father.

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