la danza Kalakhati e quel che ci dice della storia del Kerala. bortolindie 2 [XV, 15, wp s.n.] – 26 febbraio 2010 – 138

wordpress venerdì 26 febbraio 2010 – 18:32

nella solita alternanza di brevi riprese fatte con una videocamera del tutto amatoriale (e perdipiù anche semiguasta, per un visibile difetto del sensore che riempie di macchie le riprese) e di fotografie, commentate da musiche originali, ho postato su You Tube nei giorni scorsi alcuni nuovi brevi video miei sul Kerala.

* * *

The dolphins in the sea of Kochi

il sottotitolo dice (nel mio inglese largamente immaginario):
può darsi che voi non riusciate a vedere i delfini in questo video, ma erano lì e li ho visti il 14 dicembre 2009, mentre andavo con la barca verso l’isola di Vypeen, vicino a Cochin, in Kerala, India. questo video documenta quel viaggio.

– in realtà poi, i delfini si riesce ad intravederli (con molta immaginazione) proprio nelle immagini finali che precedono il primo approdo nell’isola.

ma chi volesse comunque vederli effettivamente meglio può cercali qui:

ho appena mandato a Susan un link al mio video e un saluto, see You.

* * *

L’isola di Vypeen e ritorno a Cochin (Natura e civiltà)

stavo andando quella mattina del 14 dicembre, in un clima totalmente estivo, all’isola solitaria di Vypeen, in una traversata della baia allietata appunto dalla vista dei delfini, praticamente negata agli spettatori del mio video, nonostante i miei sforzi.

uno spuntino di pesce sulla terrazza di una trattorietta quasi turisticia, e poi su quella lunga spiaggia mi ero disperso in un silenzio fragoroso solo di onde e strida di uccelli marini: una intensità sentimentale assoluta, dopo avere sbagliato la fermata del pullman e avere camminato a lungo in una campagna inespressiva, per arrivare sull’orlo di una laguna primigenia.

poi vi era stato un rientro spericolato a folle velocità su un taxi triciclo sugli argini ristretti della laguna.

ricordo bene a questo punto una sosta afosa e infestata di mosquitos in una faticosa postazione internet da dove devo avere pubblicato il mio ultimo post dal Kerala o forse solamente ho risposto ad alcune mail, già in piena crisi di scrittura, e il girovagare nel crepuscolo in attesa di entrare al Kalakhati Dance Centre di Cochin.

* * *

lo spettacolo, una delle più belle tradizioni del Kerala, forse la più importante, mi ha riempito di emozioni.

ecco la truccatura che precede lo spettacolo e che avviene sotto gli occhi del pubblico, poi l’introduzione musicale affidata a un semplicissimo tamburo da cui con piccoli bastoncini si sanno ricavare meravigliosi virtuosismi ritmici, ecco l’apparizione in una grande gonna bianca sospesa dell’eroe positivo, il dio del bene, contrassegnato da una faccia verde e da una grande bocca rossa, che si mette in dialogo con la natura e ne riproduce con tutto il suo corpo le forme animali e vegetali, in un ritmo di danza che spesso è fatto soltanto dal movimento degli occhi.

gli dei danzano, personificati in statue vive coloratissime, che si muovono in un ritmo di nacchere e tamburi: gli attori si truccano distesi su un tappeto sotto gli occhi incantati o perplessi dei bambini, lo spettacolo comincia: l’eroe, dal volto verde come la natura, ne riproduce gli esseri viventi con una danza di occhi e mani soltanto: alla fine è un fiore che sboccia, il fiore dell’amore.

ma poi ecco la misteriosa irruzione del dio malvagio, dalla pelle scura, dalle grida roche, dai movimenti scanditi con forza brutale: ha sul petto capezzoli enormi rossissimi mostruosamente sporgenti e la forza dei gesti e della camminata esprime la sua spietata volontà di potenza.

nella terza parte del video appare una meravigliosa principessa dalle forme particolarmente tondeggianti, impersonificata sempre da un attore, neppure qui le donne sono ammesse sulla scena, e ci farà assistere allo sbocciare dell’idillio fra la bontà e la bellezza, il dio del bene e lei, la ritrosa.

la lotta finale del bene contro il male, a seguito dell’irruzione in scena di un avversario di questo amore, il dio del male, si concluderà quando il dio del bene taglierà la gola a questo, che è stato più volte sul punto di prevalere: liberando quindi gli uomini dal potere della violenza e garantendo loro la civiltà dei sentimenti e la ricerca della bellezza, che sono i soli valori per i quali la vita valga di essere vissuta.

eccola, ora.

ecco l’arte a cui il Kerala ha regalato se stesso e che ha il potere di riempirti di uno stupore bambino, come se tu scendessi nel ventre stesso di millenni di storia per ritrovare vive e presenti le danze autentiche degli incas o degli egizi.

* * *

uno dei misteri della cultura del Kerala – uno stato dove i monumenti induisti sono ampiamente mescolati ai più recenti monumenti di altre religioni: cristiana, islamica ed ebraica (oggi praticamente scomparsa) e dove il monoteismo, attraverso le prime due religioni, raggiunge circa il 40% della popolazione – è la quasi totale assenza di significativi monumenti antichi, tanto meno spiegabile quanto più la regione era ricca nell’antichità e connessa per traffici di mare sia col Medio Oriente e poi con l’Europa, per la via del Mar Rosso e dell’Africa Orientale, sia con la Cina, della quale si colgono qui alcune influenze.

il mito delle Indie favolosamente ricche di spezie e d’altro nacque proprio qui, in una terra meravigliosa dove è sempre estate, vi è abbondanza d’acque, l’oceano è generoso di pesce, gli esseri umani hanno una mentalità aperta e cordiale.

una spiegazione possibile della presenza oggi quasi soltanto di monumenti successivi al 1500 è che la conquista europea dell’India cominciò appunto proprio da questa regione e che in questa sua prima fase fu condotta dai portoghesi, con gli spietati metodi dell’Inquisizione; si ha notizia che gli abitanti fuggirono verso l’interno, in località più appartate; ed è più che probabile che i monumenti religiosi e civili considerati oggetto di conquista siano stati rasi al suolo; non diversamente del resto agivano gli spagnoli in quegli stessi anni in America Latina; la storia del Kerala sarebbe quindi una variante marginale degli stessi metodi di sterminio e conquista applicati dall’altra parte del mondo a un continente intero.

tuttavia questo genocidio, se ci fu, rimane nascosto dal silenzio degli storici nè risultano evidenze di queste distruzioni, il che fa pensare che i monumenti stessi avessero dimensioni e strutture più modeste (a Thissur, pr esempio, sopravvive un tempio del XIII secolo, se non ricordo male, elegante e solenne, ma non grandioso).

* * *

questa seconda osservazione introduce appunto al carattere molto meno magniloquente che altrove dei monumenti induisti in Kerala comunque sopravvissuti.

in tutto il Kerala invece è forte e viva la tradizione della danza kalakhati, che ho già definito il culto di divinità viventi.

vi è una relazione molto precisa e impressionante fra le immagini degli dei che si trovano nei templi e la loro personificazione nei danzatori di questa danza sacra, che riproduce antichi miti indù.

e gli attori danzanti di questo rituale sono sottoposti a un rito di truccatura così complesso, minuzioso, elaborato, che è come se ogni sera alcune statue multicolori delle divinità venissero dipinte su corpi vivi e poi cancellate alla fine dello spettacolo; vi è molto di quel lavoro artistico irrigidito in forme immodificabili che è tipico di certe culture extraeuropee e di una concezione dell’arte molto diversa da quella modernamente individualistica dei giorni nostri.

sì, potrebbe essere che l’apparente povertà artistica del Kerala stia in questa scelta deliberata di una forma di espressione artistica così effimera come la danza come forma artistica per eccellenza.

in questo caso i templi del Kerala sono stati per secoli i corpi vivi e mortali dei suoi danzatori.

. . .

commenti:

pat 27 febbraio 2010 alle 13:19
splendido, da lunedì spero di avere la connessione per vedere i video, ho studiato questo tipo di danza abbastanza bene all’università, mi è rimasta quella meraviglia del passaggio dello stato dell’attore da uomo a “dio” con la vestizione.
Fascino! Ma non l’ho mai vista dal vivo…

bortocal 27 febbraio 2010 alle 14:00
sì, anche per me la lunga fase della truccatura nel teatro che pian piano si va riempiendo, con musiche casuali e dissonanti sullo sfondo, è un momento magico.
per il resto mi tremano le gambe, di fronte ad una esperta come te; comunque non risparmiare le critiche alle mie approssimazioni: è pur sempre un modo di imparare per me!

Pat 1 marzo 2010 alle 20:50
ma che dici? non sono un’esperta del campo, è che avendola studiata per un esame ne so un pò, visto che in Italia non c’è un diffuso interesse per meraviglie del genere, ci vuole un bortocal come te per riattivare questi geiser
🙂

bortocal 3 marzo 2010 alle 7:27
carissima patrizia,
vedi che sulla danza kalakhati tu ci hai fatto addirittura un esame universitario.
vedi che sei più che un’esperta rispetto a me, che me la sono trovata davanti senza neppure sapere che esistesse al mondo e che ho potuto parlarne qui sopra solo da uomo della strada molto ingenuo e probabilmente dicendo qualche sciocchezza, dato che tutte le mie considerazioni sono state solo improvvisate ed estemporanee.
felice comunque di avere riattivato dei geiser non solo dentro di me 🙂

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