se il pozzo (carbonico) non è senza fondo. wp 186 – 24 novembre 2009 – 1063

wordpress martedì 24 novembre 2009 – 8:18

di fronte al fallimento del recente vertice sul clima, imposto certamente dal carattere drammatico della crisi, economica mondiale, mentre assisto sgomento ad un inverno tedesco irriconoscibile che è piuttosto un’unica ininterrotta estate tunisina di san Martino, mi colpisce diritto al cuore un articolo delle Scienze, edizione virtuale, che segnala il progredire di un pericolo di cui ben poco di parla: l’acidificazione degli oceani, che è l’altro lato dell’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera.

Gli oceani infatti rivestono un ruolo cruciale nella regolazione del clima, assorbendo più di un quarto del biossido di carbonio che le attività antropiche rilasciano nell’atmosfera.

è il cosiddetto “ciclo del carbonio”, un meccanismo naturale di riequilibrio e mantenimento delle condizioni che rendono possibile la vita di Gea, il pianeta vivente che dona la vita anche a noi: il fatto che gli oceani siano come dei pozzi, nei quali scarichiamo l’anidride carbonica che produciamo in eccesso.

ora Samar Khatiwala, un oceanografo della Columbia University, presenta i risultati dei suoi studi nell’ultimo numero della rivista “Nature”, e io me li appunto qui, per segnarmi un dato in quella specie di mia mente virtuale aperta alla consultazione del pubblico, se qualcuno vuole, che è un blog.

e, seguendo le regole della comunicazione semigiornalistica che vigono qui dentro, riassumo intanto l’articolo in uno slogan: questi pozzi non sono senza fondo.

qualcuno leggendo si fermerà forse qui; chi vuol progredire capirà meglio perché e con quali conseguenze.

* * *

Lo studio citato ha ricostruito, anno per anno dal 1765 al 2008, l’accumulo negli oceani del carbonio di origine industriale.
Nel 2008 gli oceani hanno raggiunto un primato, assorbendo 2,3 miliardi di tonnellate di CO2 da combustibili fossili.
Attualmente […] gli oceani contengono circa 150 miliardi di tonnellate di carbonio industriale, un terzo in più rispetto ai valori degli anni novanta.

così scrive Le Scienze, e io mi permetto di dissentire su un dettaglio che è però determinante: l’idea che l’incremento dell’anidride carbonica sia esclusivamente da attribuire all’industrializzazione del pianeta è uno degli idola fori, cioè dei pregiudizi di massa indiscutibili, del nostro tempo: una quota molto importante dell’anidride carbonica atmosferica è semplicemente prodotta dalla vita animale: tutti noi respirando produciamo anidride carbonica e 7 miliardi di esseri umani, assieme agli animali indispensabili per una nutrizione a base di dieta carnivora, producono una quota di anidride carbonica che sarebbe capace da sola di produrre un effetto serra, per quanto rallentato.

insomma, se per qualche miracolo, la produzione industriale cessasse domattina del tutto, ma l’umanità continuasse a moltiplicarsi, anche l’effetto serra continuerebbe, solo ad un ritmo un poco più blando.

* * *

L’assorbimento dell’anidride carbonica è rapidamente aumentato negli anni cinquanta, quando gli oceani hanno cercato di mantenere il passo con le emissioni di biossido di carbonio in tutto il mondo.
Queste ultime hanno però continuato ad aumentare e nel 2000 hanno raggiunto un valore di picco, dopo il quale la percentuale complessiva di carbonio assorbito ha cominciato inesorabilmente a diminuire, anche se in termini assoluti l’assorbimento continua ad aumentare.
Dal 2000 la frazione delle emissioni assorbite è scesa del 10 per cento.

secondo alcuni ricercatori questa diminuzione è dovuta “all’assottigliamento dello strato di ozono della stratosfera e ai conseguenti disturbi della circolazione oceanica e di quella dei venti”; questa ricerca invece avvalora l’ipotesi di ”limiti chimico-fisici nella capacità degli oceani di assorbire il carbonio”.

Un’idea che viene attualmente verificata da un gran numero di laboratori di ricerca del mondo.

* * *

guardando da lontano, da molto lontano, come se si vivesse su un altro pianeta, poche cose potrebbero essere più grottesche, e quindi in un certo senso perfino comiche, di un pianeta dove una strana specie di scimmie continua a prolificare e arrabattarsi per vivere sempre più comoda (badando poco alla collaterale infelicità secondaria che ne risulta) e così facendo devasta irreparabilmente il frammento unico dell’universo che ha a disposizione per la propria vita, mentre altre scimmie della stessa specie fra loro in disparte analizzano saggiamente, senza poterci fare niente, i risultati autodistruttivi della propria stessa esistenza come specie.

* * *

il fatto che “gli oceani fatichino a tenere il ritmo delle emissioni umane” ha due tipi di implicazioni: uno per il clima e uno per gli oceani stessi.

“Quanto più biossido di carbonio si immette in atmosfera, tanto più acidi diventano gli oceani, riducendo la sua capacità di assorbire CO2.
A causa di questo effetto chimico, ci si attende che il sistema oceano divenga un ‘pozzo’ di carbonio sempre meno efficiente.”

occorre quindi pensare a come diminuire le emissioni di anidride carboniche ancor più drasticamente, visto che una loro percentuale crescente è destinata a restare nell’atmosfera.

e questa è la prima conseguenza con le sue implicazioni sull’atmosfera.

. . .

ma la seconda conseguenza è quella sulla vita marina stessa, connessa alla progressiva acidificazione delle acque oceaniche, che può mettere in discussione gli equilibri vitali della fauna marina.

e siccome la pesca è una fonte primaria di alimentazione per una parte importante dell’umanità, è molto preoccupante questo processo di progressiva intossicazione carbonica degli oceani, che potrebbe tradursi in una drammatica crisi del loro equilibrio biologico, visto, ad esempio, che l’acidificazione elevata comincia ad intaccare le stesse possibilità di sopravvivenza di alcune specie.

e dunque anche mettere alla fame le popolazioni umane di quelle regioni che vivono di pesca.

p1110748

sulla spiaggia di Puri, Orissa, India, agosto 2009

* * *

l’idea di futuro che abbiamo davanti è così fosca, che poi risulta sorprendente che domenica scorsa, in una lunga giornata con gli amici, dopo una gustosissima e italianissima polenta e funghi, in tre, ragionando sulla nostra temperatissima passeggiata tedesca appena conclusa sui bordi di boschi e prati luminosissimi nel tramonto, abbiamo scoperto che qualche soluzione, molto semplice astrattamente sarebbe a portata di mano, per uscire dall’economia dello sviluppo ed entrare in quella della stabilizzazione decrescente.

che è l’unica esile speranza almeno teorica che ci rimane.

ma oramai è troppo tardi per cominciare anche soltanto a descriverla; chiudo quindi questo post con la promessa di raccontare di questa discussione e delle sue traballanti ipotesi in un prossimo post.

ma non preoccupatevi del ritardo con cui sto per proclamarla al mondo, non cambia molto; non cambia perfino molto dirla o non dirla, figurarsi…

Un pensiero riguardo “se il pozzo (carbonico) non è senza fondo. wp 186 – 24 novembre 2009 – 1063

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