fallito il colpo di stato di Berlusconi. cor-pus 112 [wp 77] – 16 aprile 2009 – 454

16 aprile 2009 09:08

pubblicato su wordpress col sottotitolo: nostalgia Thailandia, dove il berlusconismo non passa, neppure con le cattive.

. . .

in Thailandia però.

soltanto.

lì il suo sosia ed equivalente miliardario locale populista è dovuto fuggire dopo avere scatenato le camicie rosse per giorni nel tentativo di tornare al potere con la forza.

le camicie rosse, direte voi?

rosse, verdi, nere, azzurre, che differenza fa per un dittatore?

l’essenza della dittatura non è il colore della camicia, ma che gli uomini abbiano tutti una camicia dello stesso colore.

ed era divertente leggere i giornali italiani progressisti talmente filoberlusconiani da chiedersi pensosi se era giusto per il re, l’esercito e la magistratura tailandesi opporsi ad una dittatura voluta forse – forse! – dalla maggioranza della popolazione.

. . .

ma è assolutamente evidente che la regola della maggioranza vale solo per decidere restando all’interno della democrazia.

quando una parte, fosse anche una maggioranza, decide di abolire la democrazia, la regola della maggioranza non vale più e una minoranza può opporsi usando tutti i mezzi.

compresa la violenza?

oh domanda sciocca! come altro si può riconquistare la democrazia e abbattere una dittatura se non con una azione violenta in tutto o in parte?

e se il tentativo di instaurare una dittatura con metodi violenti è in atto, come si può condurre una opposizione efficace escludendo il ricorso anche ad un contrasto di fatto?

certo è sempre bene che il tasso di violenza fisica sia contenuto il più possibile e perfino che la violenza antiistituzionale, cioè contro le istituzioni della dittatura, sia di tipo pacifico, con predominio delle manifestazioni di massa, preferibilmente non violente.

ma non vi è altro modo di opporsi alla repressione dei diritti umani fondamentali che contestarla radicalmente, e questo va fatto anche quando questa violenza venga esercitata da una maggioranza beota insensibile alla limitazione dei poteri che è uno degli aspetti fondamentali della democrazia.

quando un uomo solo o un partito assommano in sé ogni forma di potere e controllano il potere di rendere decisioni politiche, di giudicare, di informare e persino di dire alla gente in che cosa credere, allora le libertà fondamentali di una democrazia sono in pericolo e qualunque mezzo è, non dico lecito: dico DOVEROSO.

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viva la Thailandia dunque e viva i militari che hanno impedito con le armi ad una parte, forse maggioritaria o forse no, del popolo tailandese di consegnarsi entusiasta al Berlusconi locale.

454

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commenti:

paolozardi 16 aprile 2009 alle 21:53
“quando una parte, fosse anche una maggioranza, decide di abolire la democrazia, la regola della maggioranza non vale più e una minoranza può opporsi usando tutti i mezzi.”
E’ una delle due contraddizioni della democrazia, quella evidenziata da Gallie nel 1956: la democrazia, da un punto di vista filosofico, è un concetto imperfetto.
Magari qui puoi trovare un modo più rigoroso di affrontare il problema:

http://en.wikipedia.org/wiki/Essentially_contested_concepts

bortocal 19 aprile 2009 alle 18:46
la mia sostanziale non conoscenza dell’inglese mi impedisce di seguire una discussione così sofisticata come quella che mi indichi, che tuttavia si distanzia da alcuni temi che in questo momento invece attraggono la mia attenzione e che sono, come dire, alquanto più concreti, o indubitabilmente naif 😉
della democrazia occidentale la critica marxista ha messo in evidenza soprattutto il carattere di evidente mistificazione; non a caso democrazia e sviluppo della comunicazione di massa vanno di pari passo (i precedenti ottocenteschi erano sempre limitati ad una democrazia di censo, cioè dei possidenti).
la democrazia è alla fine un sistema abbastanza neutro per misurare la forza in campo dei poteri reali di controllo sulla opinione pubblica (ammesso che questa espressione possa ancora voler dire qualcosa) o più semplicemente sugli elettori.
ma ancora più importante a mio parere è la critica che collega direttamente la democrazia alla cultura occidentale nella sua variante anglosassone e la vede come l’espressione di una cultura locale, che non può assumere un valore universale se non nel quadro della globalizzazione dei mercati e dei modelli di consumo.
da questo punto di vista la democrazia ha un sottinteso filosofico non detto, e chiaramente sbagliato.
e cioè che la somma delle felicità individuali costituisce la felicità universale.
variante del teorema smithiano del mercato, che ha il potere miracoloso di trasformare in coesione sociale la somma degli egoismi individuali.
non è così: questa cultura del mercato è una cultura suicida.
infine “I limiti dello sviluppo” del 1973 ha posto una ipoteca fondamentale sul concetto di democrazia: perché nel momento in cui ha ricordato che l’umanità dispone di una riserva limitata di beni sul pianeta, destinati ad esaurirsi, ha inferto un colpo mortale alle ideologie democratiche che non casualmente sopravvivono solo all’interno del mito del progresso infinito.
tolto di mezzo questo mito, il problema diventa quello della limitazione delle risorse, della limitazione delle nascite, della inevitabile soppressione delle bocche superflue – del resto già in atto con la complicità del silenzio universale.
il futuro non è democratico e i nostri nipoti guarderanno alle nostre illusioni democratiche come noi cominciano a guardare con orrore al mito del progresso degli anni sessanta, diretto antecedente della catastrofe ecologica che ci minaccia.
il futuro è necessariamente dei regimi autoritari, si spera almeno illuminati.

paolozardi 20 aprile 2009 alle 14:58
Churchill diceva che la democrazia è il peggiore dei sistemi di governo, eccettuati tutti gli altri. Bismarck diceva che chi ama le leggi e le salsicce non dovrebbe vedere come vengono fatte.
La democrazia è migliore delle altre forme di governo per motivi meramente statistici. L’aristocrazia sarebbe migliore, se solo esistesse un accordo condiviso su chi sono i migliori. La dittatura, non avendo la necessità del consenso e della comunicazione, potrebbe perseguire risultati più alti, se solo al potere salissero i migliori invece che i più darwinianamente più forti. La dittatura del popolo ha dimostrato che senza interessi personali, la gente non muove il culo.
La principale critica che io porto alla democrazia occidentale – quella contemporanea – riguarda i meccanismi di formazione del consenso. La Svizzera, che tu citi in un altro post, è l’unico paese al mondo nel quale è stata realizzata la democrazia diretta: il popolo, cioè, legifera attraverso i referendum. In tutti gli altri paesi, la democrazia è rappresentativa: il problema è che questo sistema crea una corrente di interessi tra elettori e eletti, e la necessità di una comunicazione che diventa il vero meccanismo per accedere al potere. Nelle democrazie occidentali, chi governa la comunicazione va al potere. Da qui, l’insistenza con la quale la Sinistra, per anni, ha cercato di demolire l’impero di comunicazioni di Berlusconi (cercando, già che c’era, di rafforzare il proprio).
Per quanto riguarda invece il legame tra produzione, risorse e democrazia, direi che sarebbe più esatto parlare di problemi del libero mercato, più che della democrazia in senso stretto – è solo negli ultimi vent’anni che i due concetti (democrazia e libero mercato) sono stati astutamente fatti confluire in un’unica casella.

bortocal 20 aprile 2009 alle 16:59
non sono d’accordo con te quasi su nulla, e parto dal fondo.
1. “è solo negli ultimi vent’anni che i due concetti (democrazia e libero mercato) sono stati astutamente fatti confluire in un’unica casella”.
davvero? a me pare che a livello globale ciò sia avvenuto da almeno sessant’anni, cioè dall’instaurarsi dell’impero americano alla fine della seconda guerra mondiale: l’identificazione fra democrazia e libero mercato (chiamato anche, spiritosamente, “democrazia economica”) è stato il fondamento ideologico del vecchio impero americano.
non pare possa più esserlo del nuovo impero americano, che Obama sta cercando di rifondare: nel senso che anche gli Stati Uniti riconoscono che il mercato non può essere totalmente libero, e che tra le forme del liberismo senza limiti e della economia sociale deve trovarsi un punto di incontro.
questo non può che avere delle conseguenze sul destino stesso della democrazia, peraltro.
2. quanto alla democrazia che tu definisci migliore dei governi possibili, anche a non volere considerare quel che scrisse Platone contro la democrazia, consideriamo soltanto la democrazia americana di questi stessi sessant’anni.
non dico nelle province dell’impero, regolarmente manipolate con le buone o preferibilmente con le cattive, ma nel cuore stesso dell’impero: dal colpo si stato di Dallas del 22 novembre 1963, che vide la CIA liquidare il presidente regolarmente eletto, parlo di Kennedy, ovviamente, del presidente americano, non di un qualunque presidente cileno o di qualche altro paese del terzo mondo, al colpo di stato preventivo del giugno 1968 con l’uccisione dell’altro Kennedy, sicuro prossimo vincitore delle presidenziali, al contro-colpo di stato legale del Watergate, con cui la parte progressista degli USA liquidò Nixon, alle elezioni taroccate del 2001, la storia degli Stati Uniti degli ultimi quarant’anni è una storia di violazioni permanenti della democrazia, perfino attraverso gli omicidi politici.
la democrazia che perderemo non era un granché e tutte le teorizzazioni sulla medesima sono solo delle volgari e mediocri formule di propaganda popolare senza riscontro nella realtà.
il popolo americano non ha mai deciso nulla né contato nulla: in questa perfetta democrazia americana per anni si sono potute condurre a fini militari e del tutto impunemente sperimentazioni mediche su armi biologiche prettamente naziste dannose alla salute di centinaia di migliaia di liberi cittadini USA, senza alcuna conseguenza per la CIA che le promuoveva; anzi, quando è comparso qualche presidente autonomo dalla CIA, la CIA stessa l’ha liquidato.
quanto alla frase di Churchill, consideriamo chi era Churchill, prima di sbandierarla tanto: un sostenitori di Mussolini fino allo scoppio della seconda guerra mondiale!
3. la sinistra italiana avrebbe cercato di liquidare l’impero mediatico di Berlusconi?
questa è davvero bella, Paolo, pensando che sarebbe bastato imporre semplicemente il rispetto della legge già esistente che vieta di esercitare ruoli politici a chi detiene concessioni pubbliche.
mi pare che dimentichi che Berlusconi ha sempre trovato un intransigente difensore a sinistra in D’Alema, che non ha mai mancato di definire Mediaset “una risorsa della nazione”.
la sinistra anzi ha accuratamente mantenuto l’impero mediatico berlusconiano (basti pensare all’astuzia con cui Berlusconi ha regalato a Bertinotti continue e controproducenti passerelle televisive per anni, per rabbonirlo, considerando che i DS li aveva già dalla sua parte…).
4. le altre considerazioni dal tono vagamente platonico nello stile (ma antiplatonico nella sostanza) non rispondono alla mia considerazione centrale, che quindi non devo essere riuscito a spiegare oppure ti appare palesemente stupida e non degna di essere considerata, quindi ci riprovo.
che sia il popolo stesso a decidere (in apparenza) del proprio futuro attraverso il rito elettorale può funzionare senza troppi attriti fino a che a quel popolo stesso viene garantito un benessere crescente, non funziona più quando il popolo dovrebbe decidere a chi tagliare le risorse vitali.
mica è un caso che le democrazie normalmente crollano nei periodi di crisi economica.
poiché un impoverimento massiccio attende inevitabilmente l’umanità per l’esplosione demografica combinata con la crisi climatica e la generale distruzione delle risorse rinnovabili, che ha da tempo superato il punto di non ritorno, è evidente che non vi è nessuna ragionevole possibilità che la democrazia resista nei tempi lunghi.
del resto la democrazia oggi è realizzata compiutamente (per quel che la cosa vuole dire) nell’area della civiltà europea (quindi anche con America e Australia) e in India, e con notevolissime limitazioni in America Latina: potremmo dire che è un portato tipico della cultura indoeuropea.
la Cina ignora, giustamente, i meccanismi e la falsa coscienza della democrazia occidentale: l’Assemblea del Popolo di Pechino con le sue migliaia di membri è una rappresentazione mediata diversamente, che assomiglia molto di più ad una camera delle corporazioni che ad un parlamento occidentale.
non sono sicuro che statisticamente la maggioranza degli uomini viva già oggi sotto regimi in cui vi sono delle libere votazioni periodiche: nei paesi arabi inoltre non potrà mai esserci democrazia, perché essa confligge apertamente col Corano e la sua filosofia politica; in Africa, ho visto da vicino le elezioni in Etiopia e mi basta citare quelle per spiegare che cosa sia la democrazia in quel continente, con i brogli generalizzati seguiti dagli omicidi politici dei deputati dell’opposizione che osavano protestare, o da colpi di stato militari.
che poi quella della Russia sia una democrazia…
suvvia, paolo, in fondo fra democrazia e fascismo esistono mille gradi intermedi, e per dirla tutta neppure in Italia in questo momento vi è una democrazia autentica: basta guardare a come le forze politiche sono d’accordo nell’impedire al popolo di esprimersi nel referendum e ai meccanismi elettorali definiti discutibili da una sentenza della corte costituzionale che producono un parlamento scelto in tutti i dettagli nelle stanze berlusconiane, che il popolo è solo chiamato a ratificare.
motivo per il quale personalmente non voto più, dato che non mi pace partecipare a simili farse.
– per una critica, ben più radicale della mia del concetto stesso di democrazia, ti consiglio J.M. COETZLE, Diario di un anno difficile: in particolare i Capp. 1 (Delle origini dello stato), 2. (Dell’anarchia), 3. (Della democrazia).
per tutto valga questo aforisma mimetizzato nel testo:
“chi mai oserebbe sostenere che il mondo starebbe peggio di come sta se i suoi governanti fossero da sempre stati scelti a testa o croce?”
sottolineo in particolare quel che si ricava da questi tre capitoli: vi è un indubbio vantaggio sociale nella scelta dei governanti secondo regole precise anziché attraverso il mero uso della violenza.
la democrazia è uno di questi rituali sociali positivi, ma sarebbe improprio attribuire alla democrazia e solo a lei tutti i vantaggi sociali della ritualizzazione della assegnazione del potere: questo vantaggio la democrazia lo condivide con ogni altra forma di attribuzione del potere ritualizzata.
ciò che invece occorre dimostrare è che è particolarmente saggio attribuire al popolo inconsapevole il diritto di scegliersi i propri governanti e assicurarsi che questo non comporti l’inevitabile degenerazione demagogica segnalata quasi 2.500 anni fa da Platone.

paolozardi 20 aprile 2009 alle 18:14
1. La convergenza programmatica tra libero mercato e democrazia si è compiuta, a mio parere, all’inizio degli anni novanta, dopo la caduta dell’impero sovietico. Prima, si spacciava l’esportazione della democrazia come una vittoria della libertà (civile, religiosa, di espressione) sulla loro negazione (vedi il discorso di Roosvelt del 1941, con il quale dichiarava che gli Alleati combattevano per le “Quattro libertà”: libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno, libertà dalla paura). Non c’è dubbio che invece l’America abbia sempre perseguito, invece, quella che Chomsky chiama la quinta libertà (cioè quella di rapinare e razziare tutto quello che poteva) a partire dagli anni quaranta: diverso, invece, è il momento in cui si è accettato in modo unanime che la democrazia e il libero mercato erano due espressioni intercambiabili tra loro. Ripeto: sono convinto che questo “outing” sia successo solo all’inizio degli anni novanta.
2. “Consideriamo soltanto la democrazia americana di questi stessi sessant’anni”: con questa premessa, tutto il resto è mero esercizio teorico.
La democrazia, come credo di avere già scritto, è tutto fuorché un sistema perfetto: lo adottiamo in mancanza di qualcosa di meglio. Possiamo però provare a confrontare l’imperfetta, o fasulla, democrazia occidentale con altri sistemi: io credo che il risultato a cui si arriva è che, mediamente, le democrazie hanno assicurato una maggior libertà e un miglior tenore di vita ai popoli che le hanno adottate più o meno liberamente (contradictio in terminis, voluta). Se hai esempio in contrario, sarei felice se tu me li indicassi. Io, intanto, penso alle democrazie scandinave, o anche a quella tedesca.
In ogni caso, non ridurrei, né nel bene né nel male, la democrazia in generale alla sola democrazia americana, come invece tu, per dimostrare la tua tesi, fai.
3. Distinguerei tra Potenti di Sinistra e Gente di Sinistra. La seconda si è dimostrata veramente preoccupata dalla concentrazione dei mezzi di comunicazioni nelle mani di un soggetto politico; nella parentesi, mi limitavo a evidenziare la scarsa buona fede nel farlo – non tanto delle persone come me e te, che ci hanno creduto veramente – quanto nelle intenzioni di politici proprio come il D’Alema che citi. Quindi non vedo grosse differenze di vedute, su questo punto.
4. Sono d’accordo sul fatto che la democrazia è un lusso che ci si può permettere solo nel caso in cui sia possibile far stare tutti bene. Sono però abbastanza ottimista (o sciocco) da credere che prima o poi ci si libererà dal perverso meccanismo della crescita, per arrivare ad un equilibrio produttivo. Per il resto, continuo a non capire: sono d’accordo che moltissime democrazie in giro per il mondo sono solo una copertura: in Russia, la democrazia è fittizia, così come in Africa e altrove. Si tratta di capire se basta definirsi democratici per esserlo: la DDR era democratica? Basta questo per dire che la democrazia non funziona?
Viceversa, sono convinto anch’io che esistano condizioni particolari per le quali sistemi diversi producano risultati comunque positivi per la popolazione – anche se tra questi non metterei di sicuro la Cina, ma, piuttosto, Atene del quinto secolo avanti Cristo.
Il mio punto di vista, enunciato subito nel commento precedente, e che tu hai interpretato male (permettimi di dire: il solito approccio che cerca ciò che divide invece di ciò che unisce), è che le democrazie funzionano per motivi statistici, non che statisticamente le democrazie funzionano! Il senso del discorso è che ampliando il bacino di elettori, allarghi la campana di Gauss, facendo sì che si riduca la varianza dell’errore. In questo senso, sono convinto anch’io che scegliendo i politici con una moneta tirata un numero opportuno di volte, mediamente si pescheranno politici nella parte centrale della campana di prima, e quindi mediamente buoni per il compito che devono svolgere. Ed è quindi proprio quando viene meno il meccanismo pseudocasuale con il quale la gente vota, che sorgono problemi per la democrazia: le falle che sta mostrando la democrazia in questo periodo, specialmente in Italia, dipendono dal controllo sulla comunicazione: cioè dal fatto che i politici non sono più l’espressione del popolo, ma il popolo è diventato l’espressione dei politici.

bortocal 20 aprile 2009 alle 18:57
1. il fatto di avere sessant’anni, pablito, mi permette di garantirti che questo ritornello abbinato: “libera democrazia – economia libera” funziona almeno da quando io ho aperto gli occhi alla politica, cioè dal 1955-6 (avevo sette-otto anni e facevo delle incredibili discussioni col figlio di un falegname, mio compagno di terza elementare, il cui papà, con mio grande orrore, era comunista; poco dopo avrei fondato tra i miei compagni di scuola una piccola società segreta che si riuniva sotto la bandiera bianco-gialla della città del Vaticano per combattere il comunismo; credo di averne scritto anche uno statuto): posso solo precisare che si parlava allora effettivamente di libera iniziativa privata, e non di libero mercato, ma a me questa distinzione appare secondaria; però trattandosi di ricordi personali precisi non riuscirai a convincermi che questo allora non vi fosse, e forse dovresti accettare la mia testimonianza anche tu.
a meno che non vogliamo invece provare a riflettere su come e perché la libera iniziativa economica sia diventata piuttosto libero mercato, cogliendo nel cambiamento dell’espressione una trasformazione sostanziale, cosa che a me non pareva.
2. “le democrazie hanno assicurato una maggior libertà e un miglior tenore di vita ai popoli” oppure al contrario un miglior tenore di vita ha assicurato ai popoli una maggior libertà e un miglior tenore di vita?
personalmente propendo per la seconda chiave di lettura.
non ho difficoltà ad indicarti due esempi chiarissimi il primo di un benessere economico realizzato senza democrazia di tipo occidentale, la Cina, veramente stupefacente, e il secondo di una democrazia politica che garantisce alla popolazione un benessere molto parziale e imperfetto, l’India.
sbagli tu a sottovalutare la Cina o sbaglio io a generalizzare quanto visto in due grandi città?
in ogni caso la Cina è di sicuro da annoverare nel quadro molto positivo di una società equilibrata ed operosa – almeno per quanto si può vedere.
non giuro su quel che scrivo, ammetto dei ragionevoli dubbi, però rivendico che una osservazione diretta lascia comunque meno dubbi aperti che un’informazione teleguidata.
anche l’Iran che si è proposto ai miei occhi l’anno scorso ha nulla o quasi a che fare con l’Iran della propaganda occidentale.
nota bene che non ritengo affatto la Cina un paese antidemocratico per il fatto di non ammettere libere elezioni pluralistiche.
secondo me questa identificazione di democrazia e di parlamentarismo è del tutto fasulla e circoscritta ad una cultura, pur se ampiamente egemone ed imposta al mondo intero come strumento di penetrazione economica.
ma se non cogliamo la rivolta del Terzo Mondo contro questo modello, rischiamo di non capire nulla del presente.
3. la tua precisazione è più che opportuna: il popolo di sinistra è stato rappresentato politicamente da uomini che lo hanno ingannato, facendogli credere di voler porre fine al conflitto di interessi, quando non era affatto così.
con questa precisazione, ora è chiarito che su questo punto siamo in effetti perfettamente d’accordo.
4. quanto al fatto che una scelta casuale produrrebbe la prevalenza di politici che si trovano al centro della curva di Gauss non ci piove; ovviamente la democrazia per essere valida dovrebbe piuttosto produrre delle scelte squilibrate nella parte più alta della curva.
l’osservazione dei Bush, dei Berlusconi, dei Sarkozy induce a pensare che sarebbe già molto se la democrazia centrasse il centro della curva (scusa il bisticcio): se poi ci mettiamo anche Mussolini e Hitler, entrambi saliti democraticamente al potere, oserei avanzare dei dubbi sulla bontà del sistema di arrivare anche solo a questo centro.
ma se ammettiamo che la democrazia non centra questo obiettivo, ci rimane ben poco spazio per sostenerne la superiorità.
mi rendo però conto che questa parte della nostra discussione è molto confusa, e non per colpa di uno di noi due in particolare, ma per la difficoltà dell’argomento.
quanto alla democrazia greca, che era comunque una democrazia del censo che escludeva donne, meteci (immigrati) e schiavi, fu un’effimera fioritura che produsse la rovina della civiltà greca in meno di due secoli e fu rapidamente abbandonata già al tempo della morte di Socrate.
no, non c’è alcun motivo per ripeterci i luoghi comuni sulla democrazia che abbiamo sentito da piccoli!
anche se ammetto che una riflessione per individuare l’oltre è particolarmente difficile.
lodarci reciprocamente per quel che diciamo è poco utile: meglio stringere le maglie della dialettica se vogliamo anche solo provare ad arrivare da qualche parte; per farlo occorre un pizzico di polemica in più che non dovrebbe farci proprio paura.

Un pensiero riguardo “fallito il colpo di stato di Berlusconi. cor-pus 112 [wp 77] – 16 aprile 2009 – 454

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