Montag, 23. Mär, 2009 – 07:29:48; wordpress 22:03
so benissimo che, se qualcuno si convince da solo di avere scoperto qualche idea molto semplice ed evidente, che sfugge a tutti gli altri e che potrebbe rappresentare un passo in avanti fondamentale per la soluzione dei problemi dell’umanità, la prima cosa da fare è di preoccuparsi del suo stato mentale.
è quello che oggi le persone sensate fanno, evitando con maturo e consapevole scetticismo i diversi ciarlatani o peggio che ritornano da colloqui con gli extraterrestri a bordo delle loro navicelle oppure inventano la formula del moto perpetuo.
si salvano solo coloro che sviluppano le loro ciarlatanerie o fissazioni sotto forma di visione religiosa e di madonne che piangono sangue o di voci di Dio, dato che qui esiste invece una tradizione millenaria che attribuisce al visionario l’etichetta del profeta.
ma se il profeta è ateo?
preoccupato del mio stato mentale, provo comunque a dire lo stesso la sostanza della riflessione molto semplice che occupa la mia mente in questo momento e che non vedo in giro altrove.
per il resto, fate voi.
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la crisi economica scuote il mondo, quale è la sua origine?
è crisi del capitalismo, osserva la maggior parte degli osservatori, e se ne esce riportando il controllo sociale sulla vita economica, se non con vere e proprie massicce iniezioni di socialismo, come la nazionalizzazione delle banche inglesi o comunque l’aumentato controllo dello stato sulla produzione.
del resto lo stesso avvenne negli anni Trenta con l’altra Grande Depressione, e perfino Mussolini nazionalizzò le industrie private in crisi, facendo dell’Italia di fatto un paese a economia semisocialista.
non parliamo del nazionalsocialismo, che aveva questo progetto fin nel nome; e forse senza la crisi mondiale non se ne capisce neppure l’ascesa.
in sostanza la crisi attuale seppellisce il liberismo selvaggio e il reaganismo che ci hanno governato per trent’anni, anche quando è stata la sinistra dei Blair, dei Clinton, degli Schröder, dei Prodi a reggere il bandolo per qualche tempo: sinistra di compromesso col culto del mercato, che non ha sostanzialmente cambiato il corso della storia e dell’economia.
altrove invece leggo di qualche voce isolata che punta il dito proprio contro i residui di controllo sociale sull’economia, ma mi sembra una posizione proprio ideologica e totalmente contrastante con i fatti.
non è mica un caso che l’unico paese che si salva da questo tsunami economico in corso è quella cinese, cioè l’unica economia mondiale che è rimasta estranea al liberismo, che ha un carattere collettivista e che ha dato spazio agli appetiti e alle iniziative del capitalismo, mantenendolo sempre sotto un controllo sociale globale.
e così, mentre per la Germania – appena superata economicamente dalla Cina – si teme un calo del prodotto nazionale lordo quest’anno del 5%, tutti gridano alla crisi cinese solo perché l’aumento della produzione quest’anno sarà laggiù dell’8%, anziché del 12% solito.
però è proprio da questo punto che è nata la mia riflessione: sentite meglio.
* * *
Federico Rampini, quello straordinario conoscitore della Cina, spiegava qualche giorno fa che davvero sotto una crescita dell’8% l’economia cinese è in crisi, e per un motivo molto semplice.
che la Cina deve assicurare la creazione di 20 milioni di nuovi posti di lavoro all’anno (tanti, più o meno quanti sono quelli in Italia), deve cioè generare ogni anno una nuova Italia, se vuole fare fronte alla disoccupazione delle nuove generazioni, e questo è possibile solo con una crescita annua del 20%.
riflettendo al fatto che la Cina è anche l’unico paese al mondo che conduce politiche demografiche dure (ma poco efficaci) per il controllo delle nascite, mi sono fermato a riflettere, e qui è scattata la mia pericolosa illuminazione, questa.
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le politiche del capitalismo selvaggio o del controllo sociale sull’economia non sono poi così diverse fra loro come potrebbe far pensare la violenza degli scontri ideologici e, ahimé, molto spesso anche armati, che li hanno contrapposti per decenni.
capitalismo e comunismo condividono lo scopo di soddisfare senza limiti i bisogni umani.
il capitalismo occidentale lo fa in chiave individualistica, ovviamente, ma unicamente perché quella europea ed occidentale è una civiltà individualista e l’Europa il continente più frastagliato e aperto alle avventure di navigatori solitari; il socialismo asiatico, ricollegandosi ad una tradizione millenaria di dispotismo e ad una geografia di grandi spazi chiusi e autosufficienti, ha assunto come propria l’ideologia di Marx, che mira in altro modo allo stesso risultato: dare a ciascuno secondo i suoi bisogni.
in occidente lo si fa anarchicamente ognuno per sé e in una competizione dell’uno contro l’altro su chi ci riesce meglio, in oriente lo si fa disciplinatamente e tutti assieme.
ma lo scopo è sempre quello.
detto per inciso, sappiate che questa idea folle, e cioè che gli esseri umani possano vivere sulla terra nella soddisfazione illimitata dei loro bisogni ha un antenato molto molto illustra e quasi completamente disconosciuto.
il primo pensatore umano che ha introdotto nella storia umana questa utopia della felicità perpetua è stato infatti Jeshu.
le testimonianze antiche più autentiche che abbiamo di lui ce lo presentano infatti in una veste che poi alla metà del II secolo venne rifiutata come puerile, accusando chi testimoniava per esperienza diretta questa dimensione della sua predicazione di essere un uomo rozzo: Jeshu predicava l’avvento di un regno di Dio, io Padre, il Dio buono, dove sarebbero scomparse la fame e la morte.
le nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, “dacci il nostro pane di oggi”, “chi ascolta queste parole non gusterà la morte”, il regno dove ogni vite produce 10.000 grappoli d’uva: una utopia grandiosa e delirante, l’utopia della felicità realizzata e della abbondanza eterna.
spiace dirlo e soprattutto a molti spiacerà sentirselo dire, ma il continuatore più coerente e diretto di Jeshu fu Marx, che dette una versione più filosofica e più conflittuale dello stesso sogno profetico: abbondanza per tutti!
eh, quando si dice i profeti, eh?
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ora, io sbaglierò, o forse rischio di essere un profeta anche io, ma a mio parere la crisi è prima di tutto crisi di questo sogno folle.
non è possibile che ognuno abbia secondo i suoi bisogni; è inevitabile che questo possa avvenire solo per alcuni, come si crede in occidente, e attraverso la lotta contro gli altri, perché la felicità dell’uno avviene a prezzo della spoliazione dell’altro; da questo punto di vista l’utopia socialista è ancora più pericolosa dell’incubo capitalistico.
o meglio: questo obiettivo potrebbe anche risultare almeno parzialmente realizzabile, ma ad un prezzo soltanto, quello del controllo delle nascite, anzi al punto in cui siamo oggi, di un dimezzamento almeno della popolazione mondiale e di una sua stabilizzazione ad una quota molto più bassa di quella attuale.
solo un numero ridotto di esseri umani potrebbe utilizzare delle risorse rinnovabili del pianeta: oggi, come è noto, un terzo almeno delle risorse che l’umanità attuale consuma per mantenersi in vita ad un livello di benessere mediocre e per una larga parte al di sotto persino delle soglie di povertà e di mera sopravvivenza, è fatta di risorse non rinnovabili.
attenti, perché qui è il profeta che parla: abbiamo davanti una ventina d’anni ancora al massimo, dopo di che ci saremo mangiati il pianeta e di risorse non rinnovabili non ce ne saranno più: il che significa che ci dovrà una carestia innominabile che spazzerà via la metà almeno degli esseri umani (a non considerare il parallelo devastante stravolgimento ambientale, che probabilmente si innesterà in parallelo rendendo inabitabile la maggior parte del pianeta, e che potrebbe portare alla distruzione del 90 se non addirittura del 99% della popolazione mondiale.
modello isola di Pasqua: sopravvisse l’1%.
50-70 milioni di esseri umani in tutto verso il 2050.
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il problema di fondo è che questa tendenza, questo bisogno di moltiplicarsi e di vivere sempre meglio, prima che ideologico è biologico.
è vero che una delle cause di questa catastrofe sta nell’universalismo cristiano, che ha preso il comando di Jahvè al SUO popolo, quello ebraico: “crescete e moltiplicatevi” e ne ha fatto una legge etica universale.
fino a che “il prossimo” era l’ebreo e l’ordine di moltiplicarsi era l’imperativo morale di una religione spiccatamente razzista come quella ebraica, poco danno: ci pensavano i vicini con stragi periodiche, sottomissione ed esili a contenere il danno di una ideologia simile.
ma da quando la stessa ideologia è stata trasferita all’intero impero romano e per suo tramite all’intero occidente, essa è diventata ben più letale.
e sopratutto essa ha inconsciamente generato l’economia moderna: che è strutturata come economia del profitto e della produzione crescente.
solo chi ha intitolato un vecchio film “Fermate il mondo, voglio scendere!” ha avuto la saggezza di evidenziare che razza di folle corsa sia quella sulla quale siamo spinti da un clamore universale, dove si uniscono la chiesa, i governi, democratici o fascistoidi del mondo, i media, le università e le facoltà di economia, le associazioni degli industriali e i sindacati.
produrre sempre di più: a ciascuno secondo i suoi bisogni, moltiplicate i pani e i pesci, crescete e moltiplicatevi!
impossibile scendere da un pianeta impazzito.
rallentare almeno?
solo delle crisi violente e non volute frenano la corsa, ma tutti ci affaccendiamo subito per rilanciare la macchina al più presto, verso il burrone.
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se lo scopo della vita economica è come stare sempre meglio, l’umanità è condannata.
occorrerebbe una nuova economia il cui scopo fosse la sopravvivenza.
ma per fare questo occorrerebbe una rivoluzione culturale quale neppure la si immagina.
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se lo scopo della morale è la riproduzione, l’umanità è ugualmente condannata.
biologicamente la sessualità umana è debordante e l’evoluzione le ha assegnato il compito ingrato di provare ad arginare una aggressività della specie che poteva diventare facilmente autodistruttiva.
questo significa che sessualità ed erotismo hanno nella specie umana un peso assolutamente prevalente rispetto ad ogni altra specie animale sottoposta all’estro e agli istinti sessuali solo periodicamente.
questo significa anche che la riproduzione umana ha ritmi elevatissimi ed autodistruttivi: qui sta il punto sbagliato della specie uomo, quello capace di fotterla per sempre.
vi è un solo modo per mantenere l’equilibrio, ed è il controllo della sessualità umana per ricondurre la riproduzione entro limiti consapevolmente determinati, lontani da quelli fissati dalla mera biologia che farebbe di noi rapidamente uno sciame di scimmie urlanti di fame in un deserto polveroso dove ogni cosa commestibile è stata spazzata via.
ogni cultura ha la sua strada per arrivare a questo: la liberazione sessuale dell’occidente è uno dei grandi laboratori in cui la specie prova ad organizzare la propria sopravvivenza separando sessualità e riproduzione.
tutto, dalla pillola al condom, dalla accettazione di comportamenti sessuali non riproduttivi alla diffusione della pornografia gioca in questa direzione positiva nella civiltà della libertà individuale.
altrove invece è la religione che tenta di tenere sotto controllo la riproduzione tenendo gli uomini e le donne lontani dal sesso il più possibile.
quale che sia la strada giusta, occorre trovare un modo in cui una buona parte degli uomini rinunci a fare figli, o le coppie ne facciano al massimo uno solo, senza soffrirne troppo.
ogni mezzo dovrebbe essere valido allo scopo, e la legge morale fondamentale dovrebbe diventare: NON crescete, NON moltiplicatevi.
questo vorrebbe dire che comportamenti eminentemente irrazionali come le tradizioni religiose possano diventare suscettibili di evoluzione e di cambiamento radicale.
questo vorrebbe dire che le religioni rinnegano se stesse, ammettendo di essere istituzioni meramente umane, e non portatrici di valori assoluti.
questo vorrebbe dire che dovremmo riconoscere la fragilità e l’inconsistenza di ogni nostro pensiero, ammettendo che si tratta di proiezioni maldestre di bisogni mal meditati.
impossibile vero?
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pensate un po’: occorrerebbe costruire una economia della povertà e della sopravvivenza, al posto di una economia della ricerca della felicità e dell’abbondanza.
occorrerebbe costruire una morale pubblica parallela della rinuncia alla famiglia.
occorrerebbe smettere di pensare che esista un Dio che non si può contraddire e ammettere che tutto quello che abbiamo sinora penato di lui sono fantasie nostre, che vanno urgentemente cambiate, cercando di capire quale sia la strada giusta.
occorrerebbe cambiare alle radici le università, le chiese, le forze politiche: il nostro sapere, le cose in cui crediamo, le forme del potere.
no, non succederà.
* * *
la storia umana non è razionale: non saranno la razionalità e l’evidenza a togliere gli esseri umani dalla strada sbagliata in cui stanno e in cui tutto il loro essere biologico li spinge.
ci penseranno le leggi della natura, e sarà solo un poco più doloroso.
ed ecco come, giunto sull’orlo della profezia, me ne distacco rifiutando ogni ruolo attivo di profeta.
vi è un modo certo di non essere Geremia, ed è essere Cassandra.
. . .
pubblicato su wordpress col sottotitolo la sindrome del profeta e la crisi della civiltà umana
[…] oggi trasferito qui: https://corpus0blog.wordpress.com/2019/03/25/cassandra-e-geremia-la-crisi-del-mondo-e-la-sindrome-de… […]
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